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Storia di Giarre e della Contea di Mascali

 

Mascali la vetere

   

“Gli abitanti di Taormina facevano scorrerie contro Mascali e quei di Mascali non lasciavano di inquietare i taorminesi”.

Giovanni Evangelista di Blasi, 1811

 
     

593: Il Papa Gregorio Magno ordina ai monaci del monastero di S.Andrea, sopra Mascali, di ripristinare la chiesa: "Già avevamo ordinato che nel monastero di S.Andrea, che si trova sopra Mascali, dovesse, per colpa dei monaci, essere ritolto il battistero e fondato un altare nel luogo medesimo ove erano i fonti". La missiva pontificia è il primo cenno storico della Villa Mascalarum e testimonia come questa sia già una città compiuta, individuabile quale riferimento geografico per il territorio circostante. Il monastero in questione era, probabilmente, ubicato ove sorge l'attuale santuario della Vena, nel territorio di Piedimonte Etneo. Qui sarà educato Teofane Cerameo, nato in una “città nominata Maschalis” (Ceillier), che, nel IX secolo, diverrà un famoso predicatore. Gli storici, non rinvenendo ulteriori tracce documentali dell’esistenza della città in tempi più remoti, ipotizzano che la fondazione di Mascali sia avvenuta in questo periodo. Al riguardo, Salvatore Salomone afferma che: “La terra di Mascali o Mascari, come leggesi nelle antiche scritture, venne in esistenza sotto il governo bizantino, verso il VI secolo dell’era nostra, e fu casale di governatore al tempo dei Saraceni”.

902: Dopo la conquista di Taormina da parte dell’emiro Ibrahim, anche il territorio di Mascali viene occupato dalle forze musulmane che, sin dall'827, avevano iniziato la conquista della Sicilia. Il monastero di S.Andrea verrà abbandonato durante l’occupazione.

1000 circa: Il geografo Gafar Abu Nasr el-Ahmed Ibn Dawud riferisce che Mascali è conosciuta per il commercio del legname.

1040: L’abate Giuseppe Vella inserisce nel suo Codice Diplomatico di Sicilia anche una falsa lettera dell’emiro di Catania che invoca l’aiuto dei musulmani di Messina contro l’esercito guidato dall’ammiraglio Maniace: “Questa mattina, dopo un’ora di giorno, ebbi notizia che l’armata nemica era già entrata nel porto di Ulisse, 7 miglia distante dal porto di Katine, e che l’esercito nemico era già nella città di Bidiu, 11 miglia distante da Katine”. Sostiene il Vella che Bidiu, alla quale assegna 1.500 anime, “per questa distanza doveva essere dove ora è Mascali”.

1050: Il geografo Abu Ali Hasan cita anche Mascali nella sua descrizione dell’Etna: “Il monte del fuoco altissimo sovrasta il mare tra Catania e Mascali, non lungi da Taormina: gira la base tre giornate di cammino; abbondante di alberi fruttiferi; irsuto di boschi la più parte di castagne, nocelle, pini e cedri; ricoperta la cima di neve anche la state, ammantato di nugoli, ma il verno è tutto neve dal capo a piè” (tradotto e citato in Amari).

1081: Dopo due secoli il territorio di Mascali ritorna cristiano. Viene eretto, dove sorge l'odierna frazione di Santa Maria la Strada, il santuario che Ruggero I il Normanno ha voluto dedicare alla Madonna dopo un confronto contro i musulmani. L’etnografo Pitrè, nel raccontare la leggendaria fondazione del santuario, afferma che i saraceni incontrati dal Gran Conte Ruggero scendessero “dalle torri di Mascali”. Di fronte al tempio si trova l’antico pozzo di Ruggero o, come scrive Giuseppe Recupero, pozzo Saraceno: “Merita d’esser considerato un pozzo, che è in faccia della Chiesa del Vico detto La Strada, posto a poca distanza appresso le Giarre. Si chiama volgarmente il Pozzo saraceno per una tradizione antichissima di essere stato scavato a tempo che quel popolo dominava la Sicilia. La sua profondità è di centoventitre piedi di Parigi, o siano centosessanta quattro palmi della nostra canna di architettura (…). L’acqua di questo pozzo è leggerissima e morbidissima, benché mandi un debolissimo e quasi insensibile puzzo; bevendosi però fresca riesce molto piacevole al palato, e ingagliardisce il vino. Se però si lascia non più che un giorno intero, allora manda un odore spiacentissimo come dell’uovo putrefatto, o del nido de’ piccioni, odore proveniente dal solfo decomposto per un sale alcali”.

1082: Mascali ed il suo contado vengono assegnati alla ricostituita diocesi di Troina.

1096: Il Conte Ruggero il Normanno fissa i confini della diocesi di Messina, assegnata al Vescovo Roberto. Del suo territorio fa parte anche Mascali.

1100 circa: Al Edrisi, geografo arabo prescelto dal Gran Conte per la stesura del “Libro di Ruggero” – summa geografica della Sicilia del XII secolo –, descrive il villaggio di Mascali con un “villaggio situato in cima d'un alto monte, prospera per l'industria della sua popolazione. Sgorgano acque nel bel mezzo del paese"; sul mare poco distante è sito un secondo centro abitato definito “Qurtil Masqalah”. Il territorio, coperto da fitti boschi, è abitato lungo la costa e nella città fortificata. E’, inoltre, indicata una terza località, Ajn al Qasab, ossia “la fonte delle canne”, situata sul litorale: si tratta forse dell’odierna Torre Archirafi. Sono presenti tre comunità: quella musulmana, quella greco-bizantina e quella cristiana di rito latino. Il toponimo di Mascali è di incerta derivazione: alcuni studiosi propongono una origine greco-bizantina dal vocabolo “Maschalis” (boscoso) mentre altri propendono per l'arabo "Mascar" (campo), ancorché il geografo arabo Al Edrisi la chiami Masqalah. Il conte Ruggero I assegna al Vescovo di Catania Maurizio i feudi di Fiumefreddo ed Aci ma non Mascali, villaggio, quindi, con propria autonomia dai centri più vicini. Nel corso dello stesso periodo una cappella, che sarà poi detta "l'anticaglia di S.Giovanni", viene costruita sul litorale di Mascali, ove sorge l'attuale Riposto.

1124: Il re normanno Ruggero II aggiunge anche Mascali alle terre di Aci e Fiumefreddo già donate dal padre al Vescovo di Catania Ansgerio. Questi inizierà ad esigere il pagamento della decima parte dei raccolti dai contadini residenti nel possedimento. Successivamente i vescovi di Catania cederanno Aci e Fiumefreddo ai Baroni Siciliani, trattenendo Mascali alla mensa vescovile. Nel diploma di donazione del re Ruggero II, che definisce Mascali “castello”,  è contemplato anche un diritto di pescaggio per i “piscatores mascalarum”, testimonianza della presenza di una seconda comunità sul litorale. In questo periodo comincia l'attività dei cantieri navali che, lungo la spiaggia di Mascali, nella cosiddetta Arzanà (l’Arsenale), sita nei pressi dell’odierna S.Anna, costruiscono le navi da guerra del regno normanno; Vincenzo Cordaro Clarenza racconta che "essendo la Sicilia un isola, forzati venivano gli abitanti a tenere una flotta per salvarla dalle invasioni e proteggere il commercio col continente. Perciocché il savio Re Ruggero ciò conoscendo, concesse a' baroni (...) alcuni feudi coll'obbligo di dare de' generi da servire di fornimento a vascelli (...). Così il feudo di Migeti, donato alla università di Nicosia, fu assoggettato da Guglielmo II alla prestazione di 96 vascelli ed al trasporto della legna nello arsenale di Mascali".

1125: Il Vescovo di Catania Maurizio lamenta al sovrano Ruggero II l’insufficienza dei pascoli per le mandrie di proprietà della mensa episcopale. Il Conte garantisce la disponibilità di ampi appezzamenti tra Catania e Lentini, proibendo, al contempo, la trasformazione in pascolo del bosco di Mascali per non arrecare pregiudizio ai diritti dei monaci. Le navi che viaggiano per servizio tra Catania e Mascali vengono esentate dal pagamento delle imposte mentre ai locali viene concesso il diritto di pesca nelle acque del litorale (Townsend White).

1137: E’ percepito anche a Mascali il violento terremoto che provoca la morte di oltre 15.000 persone a Catania e nei centri limitrofi.

1144: L’Archimandrita basiliano del convento di San Salvatore di Messina vorrebbe costruire un mulino in un suo possedimento nei pressi del mulino di Mascali che appartiene alla diocesi di Catania. Il Vescovo Iveno risolve la lite accordando il permeso (Townsend White).

1151: Nella bolla concistoriale di Papa Eugenio III, Mascali viene confermata nella diocesi di Messina: il potere temporale verrà, quindi, esercitato dal Vescovo di Catania mentre la giurisdizione ecclesiastica dal Vescovo di Messina.

1169: Il 4 febbraio una forte scossa sismica colpisce l'intera costa jonica provocando oltre 20.000 morti nella Sicilia orientale: Mascali viene probabilmente distrutta dal sisma.

1213: L'imperatore Federico II sottrae il feudo di Mascali al Vescovo di Catania a causa della mancata sottomissione di quest’ultimo alla corona: gli verrà restituito dopo il pagamento di una ingente somma; Vincenzo Cordaro Clarenza racconta che "Avendo il Vescovo di Catania nel 1213 mancato di prestare il preteso servigio come barone, da Federico imperadore, che di richiamare al trono tutti i diritti usurpati dalla sede romana sotto Innocenzo III ad ogni costo procurava, tolti gli vennero la Contea [sic] di Mascali e lo stato di Caltabiano, che fu conceduto dallo stesso imperadore al Conte di Armaleone; quantunque appresso Federico in Catania trovandosi, dalle preghiere del Vescovo mosso nel primiero possesso restituito l'avesse, coll'obbligo di partecipare una ricompensa di 15.000 tarì al conte surriferito".

1216: Papa Onorio III conferma Mascali nella diocesi di Messina.

1228: Guglielmo, Vescovo di Catania, ottiene l'investitura del feudo di Mascali.

1229: Nel suo Dizionario geografico, l’erudito musulmano Iaqut censisce anche “la terra di Mascali”.

1236: Anche Papa Gregorio IX conferma l'appartenenza di Mascali alla diocesi messinese.

1269: Il nuovo re Carlo d'Angiò, che nel 1266 aveva conquistato la Sicilia sconfiggendo a Benevento l’ultimo sovrano svevo, concede nuovamente Mascali al Vescovo di Catania per ringraziare il Pontefice del sostegno accordato.

1285: Mascali passa nelle mani dell’ammiraglio Ruggero di Lauria, alleato degli aragonesi. Una colata lavica interessa il lembo meridionale del territorio di Mascali corrispondente all'attuale Dagala del Re.

1297: Mascali viene “posta a sacco e a guasto” (Amari) da Giovanni di Lauria, nipote dell’ammiraglio Ruggero. Riferisce Giuseppe Costanzo che: “in questo mezzo Giovanni Lauria nipote di Ruggieri alzò le bandiere del Re di Napoli in Castiglione, e nell’altre fortezze che si tenevano per il zio, e havendo tentato di prendere in tempo di notte per furto Randazzo, fu discoperto, e fatto ritirare; ond’egli con Tomaso da Leontino, Guillelmo Pallotta, e gli altri adherenti del zio presero e saccheggiarono Mascari, e si ritirarono con la preda a Castiglione”.

1300 circa: A Mascali non vi sono più tracce della componente musulmana mentre sono attive due chiese, quella di Santa Maria degli Angeli di rito latino e quella di San Nicola di rito cristiano scismatico d'Oriente, oltre ad un piccolo tempio sul litorale, forse la cosiddetta anticaglia di S.Giovanni.

1310: Nelle "Ragioni delle decime per gli anni 1308-10" si legge che Mascali è tassata per 16 tarì, il che, secondo alcuni studiosi, fa dedurre che la popolazione fosse composta da 10 famiglie, cioè circa 60-100 persone.

1329: Mentre una colata lavica lambisce Mascali, l’abitato è colpito da un sisma: "Nell'anno del Signore 1329 alli 28 giugno, declinando all'occaso il sole, l'Etna con orrendo movimento tremò (...). Nelle vicine spiagge di Mascali i barcaiuoli colpiti dal terrore palpitante, videro rimbalzate dalle frequenti valide scosse e notanti in mare le barche ed i battelli che poco pria tratto avevano a terra" (Fazello). Vincenzo Cordaro Clarenza racconta che "da testimoni oculari ci vien riferito che nell'anno 1329 la sera del 28 giugno dietro molti urli tuoni e muggiti, un cratere nel monte Etna nella rocca di Musarra si aperse e un terribile fuoco ne venne fuori. Vari scogli vicino a Mascali collo scotimento in mare precipitaronsi". Sull’argomento, Caio Domenico Gallo riferisce che “dopo aver mandato orribili muggiti, e fattosi a sentire con iscuotere più volte la terra, con la rovina di molti edifizi, e con tanta forza, che nella spiaggia di Mascali, alcuni navigli tirati in terra, furono spinti violentemente nel mare”. Dalla descrizione del Fazello, sembra desumersi che l’abitato di Mascali sia composto da un castello e da un ulteriore villaggio lungo il litorale.

1339: Un episodio narrato da Giovanni Luigi Lello evidenzia la pericolosità del fitto bosco di Mascali. L’Arcivescovo di Monreale, visitata l’abbazia di Santa Maria di Maniace e “havendola trovata in rovina così nel temporale, come nello spiritoale, si risolse di riformarla”; cacciati, perciò, alcuni monaci, li sostituisce con altri fatti venire da Catania. A causa delle continue angherie perpetrate dai vecchi monaci ai danni dei nuovi arrivati, l’abate Angelo di Sinicio si reca dal Duca Giovanni d’Aragona per ottenere il suo appoggio, ma “nel viaggio nel bosco di Mascali li furono poste insidie da un monaco, il peggiore dei cacciati” (Lello). L’abate, scortato dai monaci, riesce comunque a raggiungere Catania.

1340: Giovanni d'Aragona, reggente del Regno di Trinacria, fa costruire la chiesa di S.Andrea apostolo sulle falde dell'Etna; nelle sue vicinanze sorgerà il piccolo borgo del Milo. Il sovrano trascorrerà diversi periodi di riposo "nella casa addetta alla chiesa di S.Andrea che egli aveva edificato" (Di Blasi). Singolare è la storia del monastero, ritenuto presto inadatto alla vita monastica per la bellezza del luogo in cui sorge. Leggiamo, infatti, dal Recupero che “Simone de Puteo Vescovo di Catania poscia concesse questa chiesa con tutta la sua contrada ai Certosini per fabbricarvi un convento. Ma Fra Guglielmo di Tolosa, Priore della Certosa di Nuovaluce, appena veduta l’amenità del luogo, e quella campagna salubre e ridente, la rinunziò come luogo disadatto alla vita mortificata e penitente dei religiosi. Quindi il menzionato Vescovo coll’intervento di Mafredo d’Alagona eresse quella chiesa in Priorato, e fu intitolato a S.Andrea supra Mascalas. Riuscì coll’andare del tempo a Simone di Negroponte Sacerdote di Randazzo ottenerla per celebrarvi con altri preti i divini uffici. Finalmente questo Priorato fu unito alla Mensa vescovile, e le sue entrate spettano oggi all’affitto di Mascali membri di detta azienda”.

1347: In inverno, l’epidemia di peste nera, trasportata dalle galere genovesi provenienti da Costantinopoli e sbarcate a Messina, provoca migliaia di morti in tutta la Sicilia. Diverse anche le vittime a Mascali.

1348: Il 3 aprile Giovanni d'Aragona muore di peste nel territorio di Mascali: si era rifugiato nel convento di S.Andrea, vicino Milo, per scampare all'epidemia. Isidoro La Lumia racconta che “il duca Giovanni, allibbito all’aspetto di tanto sterminio e procurando di evitarlo, uscia da Catania, lasciava le abitate contrade, vagava per le foreste dell’Etna. Presso il territorio di Mascali, in una chiesetta che aveva edificata egli stesso e intitolata a Sant’Andrea, attendevalo la estrema sua ora: fine oscura e poco gloriosa per certo; ultima perdita che alla Sicilia toccasse, ultimo schermo ritolto all’anarchia sovrastante. Correva l’aprile del 1348: e quindi a poco scemavasi la violenza del morbo, finchè, dopo sei lune dal primiero suo nascere, dissipavasi al tutto”. In punto di morte, Giovanni designa Blasco Alagona tutore del nuovo sovrano, il tredicenne Ludovico. La scelta inattesa avvia un lungo conflitto tra i nobili siciliani con la contrapposizione della fazione latina, favorevole agli Angioini (famiglie Chiaramonte e Ventimiglia), e catalana, favorevole agli Aragonesi (famiglie Alagona e Moncada).

1353: In maggio, grazie alla mediazione di Costanza, badessa del monastero di S.Chiara di Messina e sorella maggiore del re Ludovico, ha luogo in Mascali un tentativo di conciliazione tra le fazioni catalana e latina ma le severe condizioni imposte dai chiaramontani fanno desistere Blasco Alagona dall’incontare il re a Taormina. Al riguardo, Isidoro La Lumia racconta che “fattogli intendere che la Badessa bramava stringersi seco a convegno, con due navi catalane [Blasco] si accostò alla riva di Mascali: Costanza da Taormina vi si trasportava ugualmente: ed ebbero insieme lunghe parole, la somma di cui fu che Blasco dovesse personalmente conferire col re. Intorno a ciò, adducendo il gran bene che sarebbe da un’intero oblio de’ civili dissidi per derivare alla Sicilia, la Badessa interpellava i Chiaramonte”. Prosegue Niccolò Palmeri: “Risposero [i Chiaramonte] non opporsi a ciò, purchè ognuna delle due parti non avesse più che otto persone di seguito, e il colloquio fosse pubblico. Tanto audaci e diffidenti eran costoro, e tanto avvilita la sovrana autorità. Il gran giustiziere rise a quella proposizione e fe’ ritorno in Catania, e il re in Messina”.

1355: I flagelli della carestia e di una invasione di cavallette si abbattono su tutta la Sicilia; il giovane re Ludovico cerca rifugio a Mascali, come narra il di Blasi: “La carestia che si sperimentava (…) quasi dappertutto per la Sicilia, nascea principalmente dalle scorrerie che di continuo si facevano fra le nemiche fazioni, e nelle guerre ancora, giacchè le braccia, che doveano coltivare la terra, erano quasi tutte impiegate a maneggiare le armi, oltre i molti individui, che morivano nelle battaglie e nelle scaramucce. Ma in questo anno 1355 un altro più terribile flagello afflisse la Sicilia, e che apportò la fame, e la universale epidemia. Una prodigiosa quantità di cavallette venne dall’Africa ad infestare la nostra isola a quindici di Maggio, e vuolsi che fosse così numerosa, che sino ne oscurò l’aria. Questi perniciosi animali posando sulle nostre terre si trattennero per parecchi giorni in tutte le contrade della Sicilia, pascendosi di tutte l’erbe, e biade delle nostre campagne (…). Dopo di essersi saziati questi insetti colle nostre biade, e di avere tutte consumate, mancando loro il pascolo, volarono per portarsi altrove, ma non potendo reggere alla violenza dei venti, caddero in  mare, e morirono. Sbalzati dalle onde alle spiagge si accostarono, e corrompendosi i loro corpi, infestarono l’aere, per lo che ne avvenne una mortale epidemia, che trasse al sepolcro una moltitudine di persone (…) Il Re però con suo fratello D.Federico, scappò da Catania, dopo la morte del cugino [Federico, duca di Randazzo, n.d.a], ed andò a Jaci, e di poi a Mascali, dove Federico si ammalò di febbre, ma presto se ne guarì, onde nel dì seguente partirono per Messina”. Il 16 ottobre il re Ludovico muore nella fortezza d’Aci, dov’era rientrato da Messina.

1357: Mascali viene conquistata e saccheggiata dai chiaramontani, come racconta Filippo Pagano: “Raccolti trecento cavalli ed altrettanti pedoni, s’erano a questi aggiunti settecento cavalieri siciliani di parte sua. Riunitisi tutti, qua e là scorrazzando, tutto il paese di là da Montalbano, tenevano Francavilla e Castiglione; e trovandole ben munite e difese, prendevano e saccheggiavano Linguagrossa, Mascali ed Aci e ponevano da ultimo l’assedio a Catania”. Nel corso dell’assedio di Mascali, i francesi d’Angiò e gli abitanti di Calatabiano e Taormina, loro alleati, aperta una breccia nelle mura del castello, annientano i difensori massacrando gran parte della popolazione: “alla fine, dopo aver presa ogni cosa, diedero fuoco alle case” (Ferrara). I superstiti, fatti prigionieri, sono rinchiusi nelle carceri del castello di Calatabiano. Scrive il Fazello che "I Taormitani fecero le scorrerie per insino a Mascali, ch'era soggetta a Blasco (...). I Taormitani ed i Caltabianesi, i quali provocati una volta s'erano astenuti dall'arme, ripigliandole di nuovo assaltaron Mascali e presala per forza e saccheggiatala, vi posero il fuoco e la rovinarono insino da' fondamenti, arsero poi gli amenissimi campi". Tanto abbondante è il frutto dei saccheggi che “i soldati erano talmente arricchiti con simili prede che nel comprare pagavano non a tarì ma a fiorini di cui ognuno ne valeva sei” (Ferrara). Caduta Mascali, la fine di Catania sembra vicina, ma ad Ognina la flotta aragonese ha il sopravvento su quella avversaria ed Artale Alagona passa al contrattacco respingendo gli angioini verso Taormina. Il 24 di agosto le truppe aragonesi prendono Calatabiano e i mascalesi prigionieri vengono liberati. Nei pressi di Mascali, le popolazioni locali assaltano l’armata francese in ritirata, come annota lo storico messinese Caio Domenico Gallo: “giunto in Mascali, li Tauromenitani, Castiglionesi e quei di Linguaglossa, ed altri abitatori del monte Etna fatto un corpo numeroso di milizia, l’assaltarono in guisa da tutte le parti, che in rotta lo posero, ed indi in una vergognosissima fuga, con la morte di due mila de’ suoi, restando gli altri prigionieri, fra quali Raimondo del Balzo gran Cameriero del re, che fu mandato a custodirsi nella fortezza di Francavilla”. Il barone Mortillaro sottolinea il grande bottino requisito ai francesi: “I galli che assediavano i dintorni di Catania levarono di là l’assedio, e l’alloggiamento posero in Mascali. Ciò inteso dagli Etnei assaltarono l’alloggiamento dei nemici, ed in fuga li posero; per il che un grosso bottino ne rilevarono”.

1372: La pace di Avignone conclude la guerra del vespro tra gli angioini e gli aragonesi. Anche Mascali beneficia del lungo periodo di distensione politica.

1400 circa: Si registrano le prime concessioni enfiteutiche delle terre di Mascali da parte dei vescovi di Catania. La grande pianura mascalese, che dal castello giunge quasi sino ad Aci, è occupata da un fitto ed impenetrabile bosco. I primi coloni, dietro il pagamento di un canone proporzionale al raccolto, si impegnano a migliorare e a rendere produttivi i fondi concessi dal Vescovo.

1408: Una lapide funeraria, rinvenuta nel XX secolo all’interno delle cripte del Duomo di Giarre, è il più antico documento delle origini della città. E’ probabilmente in questo periodo che un piccolo borgo di case comincia a formarsi in un fondo della pianura ad alcune miglia dal castello mascalese. Il toponimo deriverebbe dalle giare usate per la raccolta delle decime dovute al Vescovo; “giarr” è, infatti, un termine di origine araba usato per indicare i recipienti.

1414: Il Vescovo di Catania cede in enfiteusi a Raimondo Montecateno, conte di Adernò, alcuni terreni del feudo di Mascali.

1428: Un funzionario regio commissiona la costruzione di una nave ai cantieri dell’Arzanà. Alla richiesta si oppone la città di Catania che "temeva la rojna et destrucioni" del bosco di Mascali (Cordaro Clarenza). L'evento testimonia come sia già in atto il disboscamento del territorio mascalese, dove ha, peraltro, sede il Rettore del bosco con il compito di prevenire abusi sul patrimonio boschivo della mensa vescovile catanese.

1434: Alfonso d'Aragona fa dono ai massari di Giarre del dazio della quartuccia, una imposta sul vino.

1443: Dopo nove anni, Alfonso d'Aragona cede a Giovanni Montecateno la gabella "vulgariter detta della cascia del vino": "ognuno che vende a minuto per tutto il territorio della città di Mascali, come nelle taverne barache poteghe ed altri luoghi" deve versare l’imposta nelle casse del conte.

1447: Il Senato di Catania rivendica l’appartenenza alla città del casale di Mascali.

1450 circa: Viene costruita una chiesetta all'Arzanà (S.Anna), nei pressi della palude dell'Auzanetto: ha una piccola torre d'osservazione e, nei suoi pressi, è sita una dogana.

1487: Il re di Spagna, Ferdinando II il cattolico, istituisce il Tribunale dell’Inquisizione in Sicilia. Condannerà, tra gli altri, diversi abitanti della Contea come, ad esempio, Lorenzo Traxia “nativo ed abitante della terra di Mascali, di anni 30, contadino (…) bestemmiatore ereticale” che, nel XVII secolo, verrà “giudicato a pubblica frusta con cento azotte e per anni cinque su le regie galere senza soldo al remoo “Antonino Casale, nativo di Mascali e abitatore della città di Jaci Reale, Diocesi di Catania, di anni 36, Bordonaro, bestemmiatore ereticale abjurò de levi. Uscì nel pubblico spettacolo con mordacchie in bocca, fu condannato alla pubblica vergogna per la città di Palermo, senza sferzate, ed esiliato per un anno da Mascali, Ciarri, Palermo e Corte di Sua Maestà” (Mongitore).

1490: Il convento di S.Francesco di Catania acquisisce, "sotto l'obbligo di celebrazione di messe", il dazio della quartuccia riscosso a Giarre; conserverà il privilegio sino al 1843.

1505: Il 21 luglio un ordine del Vescovo di Catania Giovanni Colonna, contro le pretese dei giurati di Catania che volevano "costringiri li inquilini e massari di lo fego e baronia d Mascali a purtari la rata di loro frumenti in quissa citati", stabilisce che Mascali è di esclusiva proprietà del vescovo-conte, "tanto magis che la predicta baronia è territorio separato" dalla città di Catania. Il Vescovo-Conte ordina che nessuna ulteriore angheria venga compiuta dai catanesi nei confronti dei coloni: “per la presenti vi diciamo, e comandamo expresse, quatemus essendo ditta Baronia di Maschali separata, e segregata iurisdictioni di quissa citati, ve esponitur, nullo patto diggiati molestari li Inquilini e Massari di ditto Fego e Baronia portari rata alcuna di loro frumenti, ma di quilla ci lasceriti fari ad libitum voluntatis, come patruni, e non sudditi ad essa Universitati. E quatemus li havissiro in aliquo molestato, ogni cosa tornariti ad pristinum e praemissa cum effectu exquamini, nullo alio a nobis expectato mandato” (cit. in De Grossis).

1518: Una nave di pirati nord-africani naufraga sul litorale di Mascali: l’equipaggio, catturato dai locali, verrà impegnato ai remi delle galere siciliane.

1524: Il 16 settembre “in lo casali di Mascali calaro tridichi fusti di turchi e misero in terra circa 400 pirsuni la mattina all’alburi et andaro fino a lu casali, circa miglia dui intro terra”: l’incursione piratesca si conclude con la deportazione di “circa octanta pirsuni infra homini donni e pichulilli” che verranno venduti come schiavi (Caruso).

1526: In aprile Mascali è coperta dalla cenere dell'Etna.

1528: Il viceré Pignatelli stabilisce che, anche in tempo di guerra, Mascali è soggetta soltanto al Vescovo: "in tempo di la difesa nixuno officiale del regno può intrari nel territorio di Mascali e quatemus alcuno duranti ditta difisa fussi molestato innanti vui eo ipso lo dobbiate rimettiri a ditto rev.mo esponente e soi officiali".

1537: A causa dell’incremento delle incursioni piratesche, il viceré Gonzaga dispone la realizzazione di un sistema di torri di avvistamento e di difesa lungo la costa orientale. Numerose torri svetteranno nel territorio di Mascali, divenendo il simbolo della Contea; tra queste ricordiamo la torre di Mascali, distrutta durante l'eruzione del 1928, la torre di Giarre, abbattuta verso il 1860, le torri di Malogrado, nei pressi dell’odierna S.Maria la Strada e forse di origine saracena, la torre Rossa, ai confini settentrionali della Contea, verso Fiumefreddo e quella di Torre.

 

 
   
 
 

 

 
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