La città bicentenaria
Il 15 maggio 2015
Giarre ha celebrato il secondo centenario dell’autonomia
municipale.
Correva, infatti, tanto felicemente l’anno di grazia
1815 quando i Giarresi, approfittando dell’incertezza
istituzionale seguita allo scioglimento del parlamento,
riuscivano ad ottenere l’assenso regio per la
separazione da Mascali. Le lotte giarresi erano invero
cominciate nel 1763 quando il piccolo ed irriverente
casale, avendo superato per popolazione e commerci il
vecchio capoluogo, aveva iniziato a spogliarlo dei
privilegi e delle cariche.
Il
borgo delle Giarre, sorto con probabilità nel XV secolo,
come asseverato da lapidi e sepolture recentemente
rinvenute, era fiorito per la fortunata intuizione del
Vescovo Caracciolo il quale, convocati i mascalesi in
Santa Maria degli Angeli, li aveva arricchiti con le
terre ubertose della sua Contea, accattivandosi anche le
acute lodi del visconte di Tocqueville. In pochi lustri,
i coloni, moltiplicandosi nel numero e nelle dovizie,
avevano trasformato il bosco vecchio di Mascali – ovile
di lupi e di ladroni, antro oscuro delle tremende
insidie banditesche, delle leggende arabo-normanne e del
mito greco di Callipoli – in un fondo redditizio. Qui
non siamo più nel deserto della Sicilia meridionale,
annota il conte francese du Tyrac, le messi, dappertutto
abbondanti su un suolo così fertile, non necessitano di
sorveglianza, né di lavoro per farle crescere. Il merito
di tutto ciò è del generoso e un po’ birbante Mongibello,
come arguisce Francesco Gandini: a Giarre tutto si
produce a profusione, da qui potrebbero colare due
perenni fiumi di vino generoso e di olio, opera di quel
vulcano che le domina con la cima fumante, come fosse
superbo di averle prodotte.
Il
terremoto del 1693 ed il rifacimento più a valle della
strada consolare avevano, poi, trasformato Le Giarre dal
piccolo e sperduto borgo di campagna nel centro
strategico della Contea. Anni dopo, le nuove strade, la
vicinanza del mare e soprattutto la fecondità delle
campagne, portavano, osserva ancora du Tyrac, anche
l’agio e i benefici dell’istruzione e la storia di
Giarre diviene presto storia civile, fatta di sindaci e
arcipreti, di capitani industriosi e trafficanti di vini
e di derrate che rivaleggiano tra loro progettando
grandi opere: una nuova immensa chiesa, una piazza
veramente degna del barone Haussmann, acquedotti e nuove
strade dritte e lastricate.
Anche
Riposto, sorella e compagna d’avventura, si trasforma:
era un semplice luogo di carico appartenente a Mascali
– osserva il capitano della marina britannica William Smyth –
con una torre circondata solo da poche capanne
di canne per i lavoratori, ma in seguito, grazie
all’industria di pochi individui, la sua popolazione è
arricchita in modo tale da rivaleggiare con il centro
principale al quale rifiuta ogni ulteriore fedeltà. E
presto anche il borgo amico chiede e ottiene
l’indipendenza, ma sempre attraversando in solidale
fratellanza i secoli e le rivoluzioni, le guerre e le
annessioni.
Cosa è
diventata Giarre dopo 200 anni di fortunata autonomia e
2.700 anni dal mistero di Callipoli? Forse una città
incompiuta, ma non è lo scopo di queste pagine sindacare
le scelte e processare le intenzioni. Questa cronologia,
scandagliando il pozzo storiografico, vuole, in fondo,
ripercorrere la storia giarrese, per dirla alla Di
Blasi, dai tempi oscuri e favolosi dei suoi primi
abitatori sino ai presenti, raccontando i grandi eventi
ma anche la cronaca minuta, i costumi e gli usi dei
predecessori perché anche noi, come loro, apparteniamo
allo stesso interminabile mosaico.